Il ricordo degli IMI (Internati Militari Italiani)
In occasione della celebrazione del “Giorno della Memoria”, che quest’anno cade nell’80esimo della Liberazione dell’Italia dal
nazifascismo, l’Osservatorio regionale sui neofascismi della Puglia vuole ricordare una pagina poco nota della storia recente del nostro paese: quella degli IMI (internati militari italiani).
La legge istitutiva del “Giorno della memoria” intende infatti rendere omaggio anche agli italiani “che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte” durante il secondo conflitto mondiale.
Abbiamo chiesto al professor Mario Avagliano di aiutarci a far conoscere e a spiegare la storia degli IMI e come questa è stata recuperata quale contributo alla Resistenza del nostro paese al nazifascismo.
Il professor Avagliano ci ha gentilmente concesso l’intervista di seguito riportata:
Il 27 gennaio si commemora, con lo sterminio degli ebrei e dei rom, anche la deportazione dei partigiani, degli oppositori politici, degli omosessuali nei Lager nazisti e l’internamento dei militari italiani prigionieri. Nella strategia concentrazionaria hitleriana c’è un nesso fra queste diverse deportazioni?
Nella gerarchia dell’orrore dell’universo concentrazionario nazista gli internati militari italiani non figurano al primo posto, occupato dagli ebrei, di cui viene teorizzato lo sterminio totale, e, un gradino al di sotto, dai deportati politici, ma sicuramente vi sono molti tratti in comune con le altre deportazioni: il terribile viaggio nelle tradotte, la spersonalizzazione dell’individuo, che vede calpestata la sua identità e dignità e diventa un numero di matricola, il trattamento inumano, la fame, lo sfruttamento del lavoro. Gli IMI, infatti, non vengono assimilati agli altri prigionieri di guerra e la loro definizione come internati rappresenta un crudele stratagemma dei nazisti per sottrarli alle tutele della Convenzione di Ginevra del 1929 (compresa l’assistenza del Comitato internazionale della Croce Rossa), per costringerli al lavoro manuale (secondo l’articolo 27 della Convenzione di Ginevra ciò non era ammissibile per i prigionieri di guerra) e per aggirare la contraddizione formale di considerare prigionieri i militari di uno stato formalmente alleato, la RSI. Come ha rilevato lo storico tedesco Gerhard Schreiber, si registra una particolare efferatezza dei soldati germanici nei confronti degli IMI, e molti degli ordini emanati da Hitler e dai vertici della Wehrmacht hanno un vero e proprio carattere criminale. Circostanze che rendono tanto più apprezzabile la decisione di coloro che rifiutano la continuazione della guerra al fianco dei tedeschi, resistono per venti mesi nei campi di prigionia o di lavoro forzato, e con il loro sacrificio, non di rado pagato con la morte o con malattie gravi, danno un grande contributo alla Resistenza e alla ricostruzione della democrazia in Italia. Quanto alle differenze con le altre deportazioni, la principale è che gli IMI, come spiega Giovannino Guareschi, poi autore della saga di Peppone e don Camillo, sono stati gli unici “volontari” dei lager, in quanto a differenza di tutti gli altri deportati avevano la possibilità di tornare a casa, aderendo alla Repubblica Sociale, ma la maggior parte di loro, circa l’85 per cento, fece una scelta di Resistenza e non volle continuare a combattere con Hitler e Mussolini.
La riscoperta della Resistenza silenziosa e senz’armi degli IMI è stata avviata con grande ritardo, negli anni Novanta e Duemila, grazie a due storici tedeschi, Gerard Schreiber e Gabriele Hammermann, mentre in Italia una riflessione storiografica di più ampio respiro è iniziata con le ricerche mie e di Marco Palmieri per Einaudi e il Mulino. Nel dopoguerra, infatti, la vicenda e la memoria degli IMI ha finito per essere ben presto dimenticata, vuoi per il desiderio del nostro Paese e della sua opinione pubblica di voltare pagina dal fascismo e dalla guerra, vuoi per la scelta del silenzio da parte degli stessi protagonisti per delusione o disillusione, vuoi infine per la disattenzione delle Istituzioni e dei partiti a tale tema, dovuta a decenni di celebrazione di una idea di Resistenza e di Liberazione spesso limitata alla sola lotta partigiana armata. L’inserimento del dramma della deportazione degli IMI nel Giorno della Memoria ha contribuito a far entrare questo argomento anche nelle scuole, ma resta ancora tanto da fare. Ed è incredibile che solo da pochi anni gli IMI ancora viventi o i loro familiari stiano finalmente ricevendo un riconoscimento della loro scelta con il conferimento delle medaglie d’onore.
Gli IMI, accettando volontariamente e consapevolmente la prigionia e il lavoro coatto, pur di non indossare la divisa delle SS o della RSI, sono stati in assoluto i tra i primi italiani ad attuare autonomamente il ribaltamento di alleanze e il cambio di fronte ideale, politico e militare avviato dall’Italia l’8 settembre. Il loro «no», pronunciato prima della cobelligeranza tra Regno del Sud e Alleati (l’Italia dichiara guerra alla Germania e ottiene lo status di cobelligerante il 13 ottobre 1943), quando la lotta partigiana non ha ancora preso consistenza nel centro-nord della penisola, rappresenta dunque il primo atto concreto di ribellione di massa per riportare l’Italia dalla parte degli aggrediti e non più degli aggressori, delle vittime e non più dei carnefici, dei combattenti per la libertà e non più dell’oppressione nazifascista. Questa scelta, presa nonostante i vent’anni di dittatura e di abitudine culturale alla cieca obbedienza verso il duce, e confermata dietro al filo spinato dei campi di concentramento, dove sono già stati rinchiusi milioni di altri europei ostili al nazismo, contribuisce in maniera determinante a gettare le basi del riscatto italiano, grazie al quale nell’immediato dopoguerra il nostro Paese potrà sedersi a pieno titolo tra le nazioni vincitrici e intraprendere la ricostruzione materiale, istituzionale e civile sulle basi nuove della democrazia e della libertà. La non adesione degli IMI ha delle ripercussioni sostanziali sul piano militare, perché sottrae a Hitler e Mussolini un nutrito contingente di circa 600 mila uomini che, se riarmato, avrebbe potuto contribuire a rinsaldare le posizioni al fronte o nelle retrovie. In particolare, questi militari avrebbero potuto rendere più esteso e capillare il presidio del territorio nell’Italia centro-settentrionale, estendendolo anche alle vie di comunicazione secondarie, ai paesi più piccoli, alle valli, ai valichi e ai rifugi montani dove prendono piede e si sviluppano le bande partigiane. Va ricordato che Mussolini pensava di costituire l’esercito della Repubblica Sociale attraverso le adesioni degli IMI e che questo suo progetto fallì e fu seppellito dalle centinaia di migliaia di “NO” dei militari italiani che preferirono la durezza del lager e della prigionia alla guerra nazifascista.
La conoscenza della vicenda degli IMI è ancora troppo limitata a livello di opinione pubblica. Girando l’Italia a presentare il nostro libro “I militari italiani nei lager nazisti”, abbiamo constatato che purtroppo il loro coraggio e il loro sacrificio è ignorato dalla maggior parte dei nostri connazionali. Avere una giornata specifica per la loro commemorazione può rappresentare quindi un’occasione preziosa per dedicare loro più tempo e più spazio nelle scuole, nelle Istituzioni e nelle iniziative memoriali e per onorare il loro contributo alla Resistenza e alla Liberazione. Tra l’altro il 20 settembre rappresenta una data simbolica, quella in cui Hitler coniò per loro la definizione di internati militari italiani, gettandoli di fatto nell’inferno del sistema concentrazionario per punire la loro ribellione al nazismo e al rinato fascismo di Salò.